19 luglio 2023

A colloquio con Tranquillo Barnetta

Ex calciatore professionista, Tranquillo Barnetta effettua regolari donazioni a diverse organizzazioni di pubblica utilità, tra cui anche alla Fondazione Theodora. Una chiacchierata sulla sua motivazione, sul senso dell’umorismo e sui dottor Sogni.

Ti chiami «Tranquillo». Sei davvero tranquillo o piuttosto il contrario?

Il nome rispecchia davvero molto bene la mia personalità. Anche nel calcio non sono mai stato il più rumoroso, anche se ovviamente in quel contesto tiravo fuori il mio spirito combattivo e a volte dovevo far sentire la mia voce.

Quando hai iniziato a giocare a calcio?

A 4-5 anni. I miei genitori si accorsero in fretta che avevo un certo talento e mi diedero la possibilità di immergermi nel mondo del calcio. A 17 anni vincemmo il Campionato europeo di calcio dei minori di 17 anni. Iniziò così la mia carriera, anche grazie alla grande flessibilità della mia azienda formatrice.

Molti bambini sognano di diventare calciatori. Da piccolo cosa volevi diventare?

Già da bambino sognavo di diventare calciatore professionista. Inoltre, volevo imparare la professione di mio padre: responsabile export cucine. Ma forse mi piaceva semplicemente questo nome.

E oggi?

Al momento la mia famiglia ha la priorità. L’importante è che i miei tre figli siano sani e poter correre e divertirmi con loro. Giochiamo assieme a calcio, badminton e molto altro ancora. Nel 2019 mi sono ritirato dal calcio professionale e sono «papà a tempo pieno».

Tranquillo Barnetta con la dottoressa Floh nella mensa dell’Ospedale pediatrico di San Gallo.

Sei già stato in ospedale da bambino?

Quando ero molto piccolo sono caduto sulla testa e sono dovuto rimanere in ospedale un paio di giorni, ma non me ne ricordo. E a 12 anni mi sono rotto un braccio e sono dovuto andare in ospedale, ma è successo in Italia.

Cosa ti fa ridere?

La dottoressa Floh (ride). Ci ha fatto visita assieme alla dottoressa Uiuiui all’Ospedale pediatrico della Svizzera orientale, quando siamo stati lì con nostra figlia. Mi fanno ridere anche i giochi di parole, quelli che richiedono qualche secondo di riflessione. E il senso dell’umorismo dei bambini.

Quanto è importante l’umorismo per te?

Molto importante. Soprattutto nei tempi attuali ci permette di staccare dalle cose brutte. Ridere è davvero la migliore medicina. Rido anche volentieri di me stesso.

Nella tua carriera sportiva c’era posto per le risate e l’umorismo?

Bisognava sapere quando l’umorismo era appropriato. Dopo le sconfitte, ad esempio, non avevamo certo voglia di ridere. Tuttavia, un allenatore ci disse una volta il contrario, ovvero che, quando le cose non funzionano, l’allegria porta nuova motivazione e, di conseguenza, di nuovo al successo. Funziona davvero!

Da dove conosci la Fondazione Theodora?

Come già menzionato, in ospedale abbiamo incontrato una volta la dottoressa Floh. L’allegria che ci ha comunicato mi ha spinto a fare delle ricerche sulla Fondazione Theodora. Abbiamo iniziato così a sostenere Theodora e altre organizzazioni di utilità pubblica.

A tuo avviso, che effetto hanno i dottor Sogni sui bambini?

Secondo me li aiutano a superare delle situazioni difficili. I bambini che ricevono le visite degli artisti di Theodora non pensano più di essere in ospedale. E i genitori dimenticano le preoccupazioni quando vedono che i loro figli ridono, sono felici e si distraggono. Con la sua attività, la Fondazione accompagna le persone durante situazioni di vita difficili.

Con quali tre parole descriveresti la Fondazione Theodora o la sua attività?

Ridere, umorismo, soddisfazione.

Piccolo regalo da parte della dottoressa Floh 🙂

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